sabato 29 marzo 2008

A te, Australia.



SOLTANTO NON SAREBBE

La vita
sarebbe
forse più semplice
se io
non ti avessi mai incontrata

Meno sconforto
ogni volta
che dobbiamo separarci
meno paura
della prossima separazione
e di quella che ancora verrà

E anche meno
di quella nostalgia impotente
che quando non ci sei
pretende l'impossibile
e subito
fa un istante
e che poi
giacché non è possibile
si sgomenta
e respira a fatica

La vita
sarebbe forse
più semplice
se io
non ti avessi incontrata

Soltanto non sarebbe
la mia vita

(Erich Fried)

domenica 10 febbraio 2008

Piccolo vocabolarietto tascabile australiano

Secondo me se andassi in libreria e cercassi un vocabolario di "Australiano-Inglese/Inglese-Australiano" o un trattato di grammatica o di linguistica sulla lingua australiana lo troverei in formato tascabile, piccolo piccolo. O quanto meno la metà di qualsiasi altro vocabolario. Questo per un semplice motivo: gli australiani accorciano le parole. Non solo sono "lazy" e rilassati nella vita di tutti i giorni, lo sono anche nel linguaggio. Non gli va proprio di sforzarzi neanche a parlare! E allora ecco che ti coniano termini nuovi, altri che assomigliano per lo più a mugugni, altri semplicemente che dimezzano le parole inglesi. Molti sono divertenti, spesso azzeccati per le situazioni, alcuni suonano buffi, informali, easy, insomma, tutti insieme formano la vera lingua parlata australiana, che spesso assomiglia più ad uno "slang" che ad una lingua vera e propria. Durante tutto questo periodo mi sono imbattuto in centinaia di queste locuzioni, molte delle quali da un orecchio mi sono entrate e dall'altro uscite. Alcune però mi sono rimaste impresse, per un motivo o per un altro, e allora mi andava di elencarle e di parlarne. Per esempio, cominciamo seguendo il corso normale di una giornata:

G'day = Si legge Gh'day, ed è l'abbreviazione di "Good day", ovvero "Buongiorno". E' il tipico saluto australiano, un po' come la nostra "Bella!" a Roma.

Hows goin' = Che sta per "How is it going?", equivalente al nostro "Come stai? / Come va?". Da notare che questa frase viene sempre posta come domanda retorica: ovvero quando ti dicono "Hey, hows goin?" , comunque tu stia, non gliene frega niente a nessuno della tua risposta, loro sono già a parlare con un'altra persona. Accade spesso anche in Italia, quando chiedi "Come stai?", è quasi una formula recitata a memoria per salutare qualcuno, e non sempre si presta attenzione alla risposta. Qui io quando rispondevo "Bene, grazie!" mi guardavano storto! Come per dire "Ma perchè mi rispondi? Non mi devi rispondere, ti sto solo chiedendo come stai!" Va be'...

Brekkie = Questa parola è molto usata e la si trova scritta su ogni lavagna di Bar e Ristoranti, a volte anche nelle offerte pubblicitarie alla Tv. E' la forma contratta, con finale vezzoso, per dire in realtà: Breakfast. "You wanna go for brekkie?". Ho anche pensato che se chiedevo "Brekkie" al bar mi davano la porzione ridotta del pasto. Fortunatamente no. Che si chieda "Brekkie" o "Breakfast" la colazione australiana è sempre deliziosamente enorme.

Ute = Questa me l'hanno detta quando ero una volta ad una riunione per ricevere un brief. Ute sta per Utility Vehicle, ovvero la macchina utilitaria di uso comune. Rimasi perplesso all'inizio, poi dissi "Well, ookie dookie mate!".

Ookie Dookie, Mate! = Allora, "Mate" è "il termine" per definire una persona, conoscente, amico o sconosciuto, a cui stai parlando. Qui non sono soliti chiamarti per il tuo nome proprio quando si conversa, ma usano sempre questo generico "Mate", che significa "Amico", ma più precisamente "Compagno". Per esempio, "G'day Mate, hows goin?" E' la tipica forma di saluto. Alle volte, dipende dalle circostanze e dal grado di conoscenza tra le due persone, al posto di Mate vengono utilizzati altri termini, come ad esempio: "Man", "Dude", "Buddy", "Bloke", "Bro" (che sta per "Brother", ma questa formula è usata soprattuto in New Zealand, non molto in Australia). Diciamo che usare "Man, Mate, Dude, Buddy, etc" è un po' come dire "Tizio , Caio e Sempronio", o per essere ancora più generici: "Fra' cazzo da Velletri".

Ookie Dookie è un non-sense il cui sense è: "Va bene, intesi, tutt'apposto". Questa è almeno l'intepretazione che gli ho dato io. Robin se stai leggendo commentami e spiegami cosa minchia significa sto "Ookie dookie". Credo che Ookie derivi da "OK", e se fosse così sarebbe l'unica parola che gli australiani allungano invece di accorciare. Dookie credo sia messo lì per fare la rima eufonica. Se non mi ricordo male qualcuno mi ha anche detto che questa è una formula per definire qualcosa che è veramente australiano. Una sorta di Trade Mark, un bollino che riconosce la genuina australianità di un concetto, termine, persona o cosa.

True Blue = Questo termine è una variante di Ookie Dookie per definire la vera natura australiana di qualcosa. Il "Vero Blu" non ha sfumature, variazioni, incertezze, varieganti, è semplicemente Vero Blu, come il Vero Australiano.

Comfy = Sto termine ogni volta mi fa ridere. E' geniale, e comodo soprattutto. Ci vuole un attimo a dirlo ed esprime subito la sensazione che provi: comodità. E' difatti la contrazione della parola: "Comfortable". Questo divano è comfy. Suona troppo naif, è troppo carina come parola, secondo me dovrebbero usarla i Puffi. "Ehi, puffetta! Il tuo fungo è veramente comfy!" - "Io oooooodio i funghi comfy!" - risponde quattrocchi.

Siggy = Siggy sta per Cigarette. "Have you got a spare siggy man?" significa "Che t'avanza na ciospa fratè?".

STRAYA = Se utilizzassimo questa forma di contrazione anche noi italiani, chiameremmo il nostro Paese "Taya". E' strano, ma non troppo, gli australiani accorciano anche il nome del proprio Paese quando parlano slang: "Straya" infatti sta per "Australia".
Altre forme di accorciamento sono "Aussie" o addirittura più breve "Ozy". Questi ultimi due vengono utilizzati in particolar modo quando ci si riferisce alla cultura e allo stile di vita australiani, o forse dovrei dire Ozyiani.

Queste sono le parole che fin qui mi son ricordato. Me ne venissero in mente o dovessi impararne altre, il piccolo vocabolario australotascabile si amplierà. Naturalmente, se qualcuno volesse intervenire e dare il suo contributo, well...you're welcome, mate!

See you later alligator, in a while crocodile.

mercoledì 6 febbraio 2008

You shook me all night long

Ed e' sulle note di "You shook me all night long" degli AC/DC che torno a parlare di me, del mio lavoro, della vita che ho fatto in questo mese in cui ho scritto poco. Perche'? Perche' e' stato un nuovo periodo di cambiamenti, e per assestarmi un attimo ed assorbirli tutti ho avuto bisogno di nuovo della forza che mi aveva spinto all'inizio. Il bello e' che l'ho ritrovata, come quando scopri e scegli un posto segreto dove metti le cose piu' intime, il tuo scrigno protetto. E sai solo tu dove andarlo a ritrovare poi, per aprirlo di nuovo e riprendere quella meraviglia che avevi nascosto. Eccola, la meraviglia. La forza che tutto questo anno mi ha dato. Il coraggio e "le palle" che ho avuto a partire non sono niente a confronto della forza che mi sento ora dentro. E all'idea di tornare in Italia, che per me ormai e' "l'estero", di coraggio e di palle ce ne vogliono davvero tante, vista la situazione. L'idea del ritorno mi da' pensiero, ogni giorno e' allo stesso tempo un giorno in piu' e uno in meno qui. Ogni giorno e' portare avanti tutto e nello stesso momento avviarsi ad una conclusione. Non e' semplice scegliere quale lato dei due osservare. Ma l'ho fatto, e allora "I'm making the most of every moment". Guardo all'Australia, all'Italia ci pensero' poi, quando tornero'. A se guardo all'Australia, l'unica cosa certa ora e' quel biglietto a Marzo per tornare a casa. Ma e' ancora lontano, per me. Sto vivendo giorno per giorno, ogni singolo attimo. Con una voglia di dare, di amare, di vivere, di costruire, di vincere ancora e ancora che mi esplode dentro. Sono fatto cosi', irrazionale, intuitivo, istintivo, emozionale, sentimentale, passionale, me piace vive a core aperto. Mi sto prendendo tutti i rischi possibili, ma mi sento vivo. VIVERE e' il verbo di quest'anno. E VIVERE e' il verbo per il 200sis8 e tutti quelli a venire. Perche' se c'e' anche una sola possibilita' che offre il cuore, contro le 99 della ragione, io me la gioco e punto tutto su quella. Perche' ho capito che il cuore ti fa vivere, la ragione sopravvivere. E c'e' una bella differenza. E allora "You shook me all night long"!

Dove avevo nascosto lo scrigno che proteggeva la mia forza?
Nel terreno piu' fertile e generoso che possa esistere sulla terra: l'umilta'.
Questo e' il seme di ogni successo e di ogni vittoria. L'ho ripiantato, e ho vinto ancora. Pure ai tempi supplementari. Pure ai rigori. L'ho spaccata quella porta. Ma stavolta e' stato piu' difficile. Perche' quando hai vinto rischi di essere presto sazio. Perche' dopo le stelle, sono dovuto ripartire di nuovo da zero. Senza neanche avere il tempo di rivedermi la partita che avevo fatto.

Finito in TBWA per una cazzo di regola sul visto che non permette di lavorare piu' di tot mesi con lo stesso datore di lavoro, ho dovuto a malincuore lasciare l'agenzia (eletta "Austral-Asia Best Ad Agency of the year 2007". E io ne ho fatto la mia parte.) Mi ha onorato essere stato salutato con un premio: non potendomi tenere mi hanno proposto al network internazionale di TBWA. Poco tempo fa mi ha chiamato la TBWA Singapore, cercavano un Mid-Weight Copywriter. Ero in short list. Non so ancora se e chi abbiano scelto, ma la soddisfazione di essere stato chiamato a competere toglie le parole anche ad un Copywriter.

Questa notizia arrivava mentre mi ero di nuovo in discussione, stavolta non per scelta mia. Senza il mio lavoro, con pochi Australodollari ormai rimasti, mi sono rimesso a cercare qualsiasi cosa per campare. Ho riprovato quasi le stesse emozioni di quando sono arrivato. Ho rifatto il cameriere per un po'. Mentre, nonostante tutto, continuavo a lottare per entrare di nuovo in una agenzia. Due i problemi che adesso mi scoraggiavano: 1) Il periodo, estremamente moscio, nessuno stava cercando a Gennaio (equivale ad Agosto da noi); 2) La scadenza del mio visto, Marzo. Con due mesi scarsi a disposizione - mi dicevo - chi cazzo me la da' un'altra possibilita'. Io sono pazzo.
E meno male. Perche' quando ce la fai ancora, capisci che il pazzo e' chi molla anche quando tutto sembra impossibile.

Niente e' impossibile, me lo sono provato da solo.

Avevo ormai accettato, devo ammettere con piacere, un lavoro da commesso in un negozio di selezionatissimi prodotti europei. Prelibatezze e delicatezze: formaggi, paste, olii, vini, caffe', sottolii, salse, provenienti da ogni paese del vecchio continente. Il negozio si chiama "Simon Johnson".
Mi ci vedevo proprio, col grembiule raffinato, a consigliare e intrattenere le clienti. Con un lavoro cosi', anche se non fosse arrivato piu' niente dalla pubblicita', sarei stato felice lo stesso.

E invece, un Venerdi', tre settimane fa (ehi, ora che ci penso era un venerdi' anche quando mi prese la TBWA), mi chiamano in fila tre agenzie: due grossi network internazionali e un'agenzia indipendente di Sydney. Allora ho capito che la prelibatezza europea in questo momento forse ero io.

Uno dei network era lo stesso della mia ex agenzia di Roma. Mi chiama la Y&R Sydney. Penso agli scherzi del destino. Ero tentato, poi ho detto di no. Con una certa soddisfazione. Un po' perche' avevo gia' felicemente scelto. Un po' perche' in "Ipsilon e Erre" avevo gia' dato. Un po' perche' dire di no a chi ti ricerca, quando prima ti consigliava di lasciar perdere questo mestiere, non ha prezzo. Ci sono cose che non si possono comprare, una di queste e' la dignita'.

La mia scelta, di cui dopo tre settimane di lavoro sono sempre piu' contento, mi assegna un brief. E' una gara. Devo pensare una campagna integrata per il Governo Australiano, reparto educazione. E' una campagna per insegnarli le parolacce in Italiano. No, scherzo. E una campagna per promuovere la cultura e la lettura dei libri in Australia. E allora il sisotto basta strofinarlo ed eccolo che ti esce dalla lampada con 3 ideuzze. Una sopra tutte. L'agenzia ci crede. Io da morire. La porto avanti, col mio art. E' un'idea che viene definita "media neutral". Un concetto forte di base, una "core, big idea", cosi' semplice e forte che puo' essere sviluppata su tutti i mezzi che vengono in mente. Creiamo di tutto. Tv, stampa, radio, outdoor, ambient e guerrilla, website, materiali punto vendita, piu' nuovi media inventati per l'occasione. Non manca niente. E tutto e' coerente con un solo cazzo di messaggio. Ma non e' finita. Visto che e' una mia idea, l'agenzia vuole che me la vada a presentare io. Arcipuffolina, qui me so un po' emozionato.
La sera mi preparo il discorso, poi mi bevo un Lucano, perche' non voglio niente di piu' dalla vita. La mattina dopo vado a presentare. Io, 3 Account e il nostro Business Manager. Il mio Art non e' potuto venire perche' sta in Giappone adesso.
Slide dopo slide ecco il concetto, la strategia e poi via tutto il resto. Io presento la creativita'. Penso di aver fatto qualche errore nella scelta delle parole mentre parlavo, ma alla fine e' andata bene. Ero molto emozionato, ma convinto. Volevo fargli capire il lato umano dell'idea. La possibilita' di far interagire la campagna e le persone, di coinvolgerle, di renderle parte del prodotto e del brand. Fargli fare l'esperienza insomma, attraverso una partecipazione attiva. Perche' per me la pubblicita' non e' interruzione o intrattenimento, e' interazione. E volevo davvero portare gli Australiani a coltivare il piacere della lettura.
Beh, una bella lettura ce l'ho avuta io stamattina sulla mio Mac in ufficio:
"Congratulations bro, we won the pitch. We rock!".

Che altalena di emozioni e' stato quest'anno.
Su nel cielo aperto, e poi giu' il deserto, e poi ancora in alto, con un grande salto.

E li, in alto, seduti su quella nuvola bianca che guardo sempre con un sorriso quando alzo gli occhi al cielo, ci sono Nonna e Ale. Io cammino, voi con le gambe a penzoloni, quante volte ci siamo dati la mano. E quella mano, Nonna, quella mano che mi tieni sulla testa, mi da' sempre la direzione e mi aiuta sempre a rialzarmi.
La sento la tua mano, lenta, morbida, dolce, potente, forte.
Dalla mia adesso ti soffio un bacio, che ti arrivi su quella nuvola, solo per dirti: Grazie.

E io continuo ad andare,
continuo ad andare.
Mentre "You......You......You shook me all night long"!

giovedì 31 gennaio 2008

Elatan & Onnadopac

D'estate, al caldo, in un Paese che non festeggia il Natale se non nella minoranza cristiana.
Senza albero, senza presepe, senza neve, senza freddo, senza parenti, senza la pasta al tonno di mamma, senza i carciofi fritti de Zia Giulietta, senza le alicette de Zia Giovanna, senza l'abbacchio de Zia Fiorella! Senza tombola, perlino, bestia, las vegas, senza i monologhi di nonno. E' stata dura (come disse l'amico mio stitico). Eppure, è andata alla grande. Ste feste all'arovescia mi sono piaciute. Devo ammettere che non ho sentito così forte la mancanza della tradizione, ma forse solo perché non avevo riferimenti natalizi che mi riconducessero a casa.

Il regalo più bello è stato l'arrivo di mia cugina Elisa.




Un po' come avere parte della famiglia qui con me. La parte più rompicoglioni. Ciao Eli! :)
Mi è venuta a trovare per le Feste. E' rimasta con me una settimana a Sydney, poi ha visitato Melbourne e alla fine è tornata a Milano.
Durante il suo soggiorno Sydneyano praticamente ho rifatto il turista anch'io. L'ho portata ovunque. Mi ha fatto piacere ripercorrere gli stessi posti che vidi quando arrivai qui tanti mesi fa. L'Opera House, l'Harbour Bridge, i Royal Bothanic Gardens, Manly, le Blue Mountains.










Al di là delle ripercorrenze ciò che mi ha sopreso sono state le ricorrenze. Capodanno a Sydney è una sensazione unica, come la Coca Cola. L'abbiamo passato per strada, tra migliaia di persone. Siamo usciti il pomeriggio e, una volta trovata la piazzola con vista sull'Opera House e l'Harbour Bridge, ci siamo appantofolati in attesa dei fuochi.
Qui i fuochi li fanno due volte nella stessa sera. La prima mandata è alle 9, per i bambini e le famiglie. Un modo sano e onesto per dire "ecco, così se li levamo dalle palle subito e poi je damo giù a beve ai botti successivi". E invece, sorpresa delle sorprese, non si poteva bere. Non c'era una, dico una, bottiglia che non fosse acqua. Surreale. Anzi, surrenale direi. Pe mbriacatte coll'acqua ce ne vuole. Cmq, quando siamo arrivati alla seconda tranche, cioè i botti della mezzanotte, è stato da brividi. Il ponte sembrava esplodere di luce. Non c'era un centimetro libero per le strade, solo un marasma tranquillo di persone. Si, tranquillo. Mi ha fatto strano infatti. A confronto Napoli a capodanno pare Sarajevo.
Con noi si è unita anche una amica di Isabella, la ragazza di Firenze di cui ho già accennanto abbondantemente (ma se a-bon-dante-mente, a berlino boccaccio dice la verità?).
Era arrivata a Sydney, Benedetta. No, non benedetta prima di arrivare a Sydney, Benedetta è il nome della ragazza. Si è aggregata a noi per i fuochi e poi, finita la festa gabbato lo santo, siamo andati a casa di amici miei a farci due salti e quattro risate. In tutto, sei tra salti e risate.






Poi c'è stato il giorno della gita in barca! Momenti mi dimenticavo. Andare in barca per le baje di Sydney in piena estate, ovvero il 30 Dicembre, mi ha fatto provare un'emozione che non capite se non la vivete. Tra l'altro ad un certo punto ci siamo fermati in una bajetta. L'acqua bassa e scura, natura incontaminata intorno, rumori di animali improbabili, io che mi tuffo e poi guado fino a riva, dove mi incastro in una ragnatela che se non l'aveva fatta l'uomo ragno poco ci mancava. In quell'esatto momento mi sono sentito Crocodile Dundee, oltre che cagarmi addosso per paura del ragno. Va bene tutto, ma con il ragno dopo il bagno, io che cosa ci guadagno? Tanto non è che me lo magno, tutt'al più poi vado al bagno.




Ah, come non ricordare poi la splendida mangiata ai Fish Markets, dove ci hanno addirittura scambiati per marito e moglie. E la gita agli orti botanici, dove Elisa ha conosciuto Batman e Robin. Le ho presentato qualche pipistrello australiano. Ci hanno invitato a bere qualcosa, ma abbiamo declinato. Tra l'altro mi è sorta una riflessione: ma se i pipistrelli nell'emisfero boreale dormono a testa in giù, perché qui nell'emisfero australe non dormono a testa in sù? E' assurdo, quante cose strane ci sono in Australia. A partire dal Natale.

Di certo, quest'anno ho passato le Feste in modo davvero diverso. Ciao sorciniiiiiiiiiiiiiiii! Batman dove sei tesoro? Baaaaaateeemaaaaaaan? Mi serve aiuto! Da solo non ce la faccio, c'è una bomba a Perticano!

venerdì 18 gennaio 2008

Da Fefotto al 59.

Da Fefotto al 59.

Di Fefotto, ormai si sa,
ce n'é uno di Papà.
Cuor gentile, onesto, vero,
di equilibrio lui è foriero.
Mi ricordo da bambino,
mi facevi l'aeroplanino,
e quando a prendermi dopo scuola,
c'era sempre il "vola, vola".

Poi le foto che ci hai fatto,
han lasciato ogni istante intatto.
Le panzanelle sopra il prato,
col pomodoro appena tagliato.
La passione per il legno,
grande prova del tuo ingegno.

Mani grandi che san parlare,
e i ricordi restaurare.
Nei tuoi occhi c'è qualcosa,
che va oltre l'amata "De Rosa".
C'è grande calma, e comprensione,
quando sbrocca Mamma con Simone.

Mi ricordo, soprattutto,
in quel mio momento brutto,
il calore del tuo abbraccio,
mi ha risolto il momentaccio.
Era quasi un anno fa,
e quanta strada, da quel giorno, Papà.

Ma quel che conta, caro Fefò,
è che tra un po' ti rivedrò.
E sol per ora, accetali puri,
i miei più intensi e sentiti auguri.
Sei il più grande, ne abbiamo le prove,
non si direbbe ne hai 59.

Con tal poesia or ti saluto,
uomo saggio un tempo baffuto.
Ti voglio bene, mio Fefotto,
Tanti Auguri dal tuo Sisotto.

A Fefo.

Sydney, 18 Gennaio 2008.

giovedì 17 gennaio 2008

A Pinuzza

"Figliolo ti dirò una cosa:
la vita per me non è stata una scala di cristallo.

Ho avuto chiodi e schegge e tavole sconnesse, e tratti senza tappeto:
nudi.
Ma sempre continuavo a salire,

raggiungevo un pianerottolo,

svoltavo un angolo,

e certe volte entravo nel buio
dove non c'era luce.
Perciò, figliolo, non tornare indietro,

non fermarti sugli scalini
perché ti è faticosa l'ascesa.
Non cadere, adesso;
perché io continuo a salire, amore,
ancora mi arrampico,
e la vita per me non è stata una scala di cristallo
".

L.J.HUGHES


Mi è capitata fra le mani, mi è piaciuta, te l'ho inviata.
Mi ha colpito perché è un incitamento alla gioventù, da parte di una madre, a non mollare, ma a vivere una gioventù cosciente, leale, onesta, capace di organizzarsi e vivere una vita degna della sua sacralità.

CON AMORE MAMMA


"Mamma ti dirò una cosa:
la vita per me non è una scala di cristallo.

Ho chiodi e schegge e tavole sconnesse, e tratti senza tappeto:
nudi.
Ma sempre continuo a salire,

raggiungo un pianerottolo,
svolto un angolo,
e certe volte entro nel buio
dove non c'è luce.
Perciò, Mamma, non torno indietro,

non mi fermo sugli scalini
perché mi è faticosa l'ascesa.
Non cado, adesso;

perché io continuo a salire, amore,
ancora mi arrampico,
e la vita per me non è una scala di cristallo".


Ho deciso di seguire il mio destino tanto tempo fa, senza paure, solo il coraggio nel cuore.
Continuo a salire, Mamma. Ce l'ho fatta di nuovo.
Ancora un nuovo e grande successo, nato dalla passione, dalla volontà, dalla tenacia, dal sudore, dal non mollare mai.
Lo dedico a te, a me e alla nostra famiglia.
Continuo a salire, Mamma. Continuo a salire.
E tu non smettere mai di guardare dove metto i piedi.

Ti voglio bene, Compagna del mio viaggio.

CON AMORE SISO


sabato 5 gennaio 2008

Se incontro Frodo me lo inchiappetto.



Eccomi.
Torno a scrivere dopo più di un mese di assenza dal blog.
Ne sono successe tante di cose, previste e impreviste, e non ho avuto un minuto per sedermi un attimo a riflettere e buttar giù tutto il vissuto. Ma finalmente sono di nuovo qui, a casa, in questo pomeriggio caldo e umido di Sydney a raccontarmi di nuovo.

E allora, augurandomi che chiunque legga abbia passato un bel Natale e Capodanno (i miei ve li racconto nei prossimi post) e facendo a tutti i miei "Best wishes!" per uno strepitoso Duemilasisotto, riprendo da dove avevo finito: la Nuova Zelanda.

La Nuova Zelanda è un paese bellissimo, se si ha la fortuna di poterlo vedere.
Ho passato due settimane di pioggia costante, temporali, disagi, nuovole basse che non permettevano di guardare oltre dieci metri quadrati in altezza e in profondità.
Ero partito con la sensazione di stare per fare il viaggio della vita, johnathan dimensione avventura, noi uomini duri, aperto agli eventi, col pensiero del giorno per giorno se non dell'attimo per attimo. E invece mi sono trovato ad affrontare un viaggio completamente diverso, difficile, per non dire "sfigato" per via del maltempo. In quindici giorni ho avuto un giorno e mezzo di sole, il resto pioggia a raffica, costante e battente. Insomma, m'è roduto er culo, come dicono qui in Australia.

Avevo previsto 3 settimane, ma alla fine della seconda di pioggia e con le previsioni che indicavano per la terza la stessa situazione atmosferica, ho deciso di tornare prima a Sydney. Era inutile restare in un paese dove vai per vivere e vedere la natura e la natura non puoi viverla né vederla. Avrò visto e fatto il 30% delle cose che avrei voluto.
Le giornate erano caratterizzate da lunghe ore in pulman (6-7) per raggiungere le nuove mete, qualche sosta inutile nella via studiata apposta per intrappolare i turisti coglioni, e poi l'arrivo nel pomeriggio negli ostelli. Dove eravamo costretti a restare a causa dei temporali. Quando, per grazia divina, era possibile fare qualche escursione, passeggiata o attività interessante, queste costavano un occhio della testa. Ho pagato addirittura per passeggiare in un parco nazionale.
Non credevo fosse un paese così costoso e così ingabbiato nelle trappole dei "tours" turistici.
Volevo fare l'avventuriero, mi sono ritrovato turista per costrizione, non avendo mezzi propri ma viaggiando in pullman. Odio il concetto di "turista".
Consiglio: la Nuova Zelanda va vista affittando una macchina (meglio camper) e girando a piacere, con amici o conoscenti, fermandosi dove capita, in tenda o dove si vuole, con la libertà di decidere per sé le destinazioni. E bisogna soprattutto pregare che il tempo sia buono. Perché questa terra vale davvero la pena di essere visitata, è spettacolare ed esplosivamente naturale (almeno da quello che ho visto nei depliant). Un esempio della rosicata enorme che ho vissuto è dato dalle seguenti due fotografie.
Questo è ciò che avrei dovuto vedere:



Questo è ciò che ho visto:



E ora moltiplicate queste foto per quasi ogni luogo e ogni giorno del mio viaggio.
Chi non si inchiappetterebbe Frodo a sangue sapendo che si è davanti a delle meraviglie uniche al mondo ma non si può vederle?

Cmq, a parte il maltempo, è stato un viaggio interessante, vissuto in un altro modo, e ricco di nuove conoscenze.
Su tutti, Adam (un ragazzo statunitense, proveniente dal Colorado, studente ventunenne di ingegneria meccanica e venuto in Nuova Zelanda per un viaggio di pausa dall'Università)



e Sandra (una ragazza di Merano, una cittadina vicino Bolzano, che parlava più tedesco che italiano, arrivata in Nuova Zelanda come meta finale del suo viaggio di sei mesi intorno al mondo dopo la laurea in medicina).



Due belle persone. Un bel trio.
Ci siamo conosciuti sul pullman (che quindi non è sempre negativo...) il primo giorno di viaggio, ad Auckland e abbiamo proseguito per quasi tutto il tempo insieme.

Quando viaggi da solo le amicizie crescono e si infiammano in poche ore. La voglia di condividere diventa un bisogno primario, e ti trovi a scambiare pensieri anche profondi e ad aiutarti come foste amici da anni con persone che fino a tre giorni prima non conoscevi. Sono rapporti intensi e brevi, proprio perché dettati dalle circostanze eccezionali. Poi possono restare o meno, ma nel momento in cui li vivi sono importanti.
Ho avuto la sensazione che quando viaggi da solo è come se il mondo ti venisse incontro, e le persone anche, come se ogni cosa si avvicinasse spontaneamente a te per viaggiare con te e condividere con te. E alla fine mi sono accorto che paradossalmente non ero da solo, pur essendolo. E' confortante, specialmente quando piove e sei nel punto più lontano da casa in cui potresti essere. Non mi sono mai sentito così distante da casa in Australia in 9 mesi, come mi ci sono sentito in Nuova Zelanda in 2 settimane. 12 ore di fuso fanno veramente la differenza, anche rispetto alle 10 cui ormai sono abituato.

Ma tralasciando ora le riflessioni e le considerazioni, ho voglia di ricordare il percorso di questa dolceamara esperienza.

Auckland
Situata a a Nord dell'Isola Nord (la NZ si divide in due isole, Nord e Sud, entrambe di origine vulcanica), Auckland è stata il mio punto di partenza. Mi ci sono fermato due giorni e mezzo, che sono pure troppi. Credo sia una delle citta' piu' noiose, lente, sciape e deprimenti che io abbia mai visto.



La città delle vele, viene chiamata. E te credo, le vele gonfie pe' annassene il prima possibile.
Il problema non è che non c'è nulla, ma che non c'è nulla di significante.

A parte la Torre di 385 metri su cui salire per vedere il panorama,



il Museo di Arte e Cultura Maori (questo degno di nota),



e un pub chiamato "Pompino" (lo puoi consumare lì o a portar via!).



Indi, una volta provata l'ebbrezza dell'altitudine e la spinta dell'ascensore, una volta appassionato alla storia, alle discendenze, alle credenze, usi, costumi e movimenti migratori dei Popoli del Pacifico, e una volta essermi fatto fare un grandissimo....caffè al promettente bar, mi sono essenzialmente sballottolato di pub in pub per ammazzare la noia fino al momento della mia partenza per la seconda tappa, Rotorua.


Rotorua
Siamo partiti da Auckland la mattina presto. A condurre il pullman un autista deficiente che voleva a tutti costi fare il simpatico e dava più ai nervi che altro. La classica simpatia bambinesca da scout troppo cresciuto (ricordo sempre con grande affetto la tautologia: "Lo scout è un bambino vestito da coglione, comandato da un coglione vestito da bambino"). Oltre a odiare il concetto di "turista", non sopporto assolutamente quello di "scout". Ma nella sua infantile ilarità il giovane hobbit ci ha regalato due soste che non mi aspettavo, sulla via per Rotorua.

La prima, le Glow Worms Caves. Sono caverne, come le Grotte di Frasassi, con dei particolari abitanti. Dei vermi evideziatori, fluorescenti (glow worms), che vivono attaccati alle volte rocciose e attraggono gli insetti con la loro luce, a mo' di lucciole ferme nella notte. Come dire, so' come le zoccole sull'Appia che aspettano i clienti alla luce dei falò.
Il bello è che sono migliaia (i vermi intendo) e quando alzi la testa sembra di essere sotto un cielo stellato. Tutto è stato reso ancor più affascinante dal fatto di aver preso una piccola barca e aver navigato silenziosamente nel fiume sotterraneo. Come nelle segrete di un mondo sommerso, senza luce né orientamento, dove di volta in volta si aprivano in alto intere galassie e costellazioni di questi esseri. Sono rimasto a bocca aperta, non troppo per paura che me ne cadesse uno dentro. Per essere breve (come dicono gli hobbit), quella dei vermi flurescenti è stata un'esperienza da evidenziare.



Usciti dalle grotte, ci siamo diretti nella zona più sismica (ed ancora in piena attività) della Nuova Zelanda, il Parco Naturale di "Wai-O-Tapu" (il nome è ovviamente di origine Maori, come gran parte dei nomi | cose | animali | città | attori | cantanti | totale, della Nuova Zelanda). Se avete visto il Signore degli Anelli e avete presente la desolazione vulcanica delle Terre di Mordor, questo Parco è la dimostrazione che il Regno di Mordor esiste davvero. Odori e colori di zolfo (giallo), antimonio (arancione), silice (bianco), zolfo in sospensione (verde), ossido di ferro (rosso bruno), carbonio (nero) e manganese (viola), uniti al calore umido delle acque bollenti e ai nomi rassicuranti dati ai luoghi (Casa del diavolo, calamaio del diavolo, cretere inferno, bagno del diavolo...) mi hanno fatto pensare che qualcuno al diavolo mi ci avesse mandato davvero. :) Abbiamo anche assisitito all'eruzione, provocata artificialmente, di un cratere. Posso dire che di certo all'inferno si può arricchire notevolmente la propria cultura geologica.









Lasciata ogni speranza o voi che entrate, ci siamo diretti verso Rotorua, la città origine e baluardo della cultura maori. Dopo la modernizzazione europea, restano solo simboli, totem, negozi di souvenir e volti di persone a ricordare le vere radici del luogo. Non ne sarei rimasto colpito, se non avessi fatto un'escursione serale in un vero villaggio maori poco distante dalla città. Pur strutturata come attrazione e spettacolo turistico, è stato comunque molto interessante ascoltare i discendenti di una cultura così ancestrale raccontare le leggende sulle migrazioni marittime delle origini ed osservarli esibirsi in scene di lotta, canti e balli (compreso il famoso Haka, il rito pre-gara degli All-Blacks). An-haka-pito che emozione vederli dal vivo.
Alla fine della serata, dopo aver degustato il cibo maori, particolare perché cotto su una particolare pietra lavica (Hangi), ci siamo salutati con la loro tipica espressione di benvenuto/commiato, "Kia Ora", che significa "Ciao".






Taupo
Il giorno seguente, dopo 4 ore di pullman sempre con il deficiente alla guida, ci siamo essenzialmente annoiati sotto la pioggia nella cittadina di Taupo. C'è un lago, che la Lonely Planet dice essere più largo, per estensione, dell'intera città di Singapore. Ma dai, e chissenefrega?


Wellington
Trascorso forse il giorno più brutto a Taupo, la mattina a venire siamo partiti alla volta di Wellington. Lungo il tragitto eravamo supposti vedere il Mount Rhutapehu, filmicamente ribattezzato come "Monte Fato". Fremevo dalla curiosità di vedere la dimora di Sauron. Cosa ho visto? Nuvole. E deserto. Sterpi e il nulla totale per sei lunghe ore di fila. Poi, finalmente e meritatamente, la più ventosa città della Nuova Zelanda, sua freddosità, la capitale, Wellington. Come si può facilmente intuire, pioveva, con il carico da undici di vento e gelo.
Al che, ho passato il pomeriggio al Museo di Arte Maori (ormai sono un esperto) per poi gironzolare per la città. Che, devo dire, è davvero molto carina, briosa, friccicosamente attiva. Pub, localini stravaganti, viuzze ricche di ghirigori architettonici. Sembra una cittadina del nord europa. Passeggiando allegramente, ho fatto pure in tempo a fare una puntatina-blitz in Saatchi&Saatchi. Purtroppo il Direttore Creativo non c'era. E più che il CD mi sarei aspettato di trovare un DJ. La Saatchi Wellington sembra un locale grunge-metallaro-fintamente dismesso. Muri scalcinati con aerografie, luci al neon, travi di ferro bullonate. Secondo me gli account presentano pettinati con la cresta punk. Una figata di agenzia alternativo-psichedelica. Stupefacente, direi.




Il traghetto tra le isole
Da Wellington, sempre in compagnia di Adam e Sandra, mi sono imbarcato sul famoso traghetto che porta all'Isola Sud. 3 ore e mezza di navigazione, con mare forza 9. Fuggire si ma dove? Za-Za! Eppure son passate, chiacchierando e anche un po' pregando. La natura in New Zealand è veramente allo stato brado. In Australia e NZ ho capito a fondo quanto noi umani siamo irrilevanti rispetto alla potenza del pianeta. L'illuminante realizzazione di totale impotenza di fronte agli eventi naturali.
Quietata la tempesta marina, la vista dal traghetto delle montagne dell'isola sud e il passaggio nel fiordo per arrivare al porto di Picton, hanno ampliamente compensato il mal di mare precedente.








Il Sole di Nelson
Da Picton ci siamo diretti a Nelson, dove abbiamo incontrato il nostro giorno e mezzo di sole. Finalmente il bel tempo, finalmente un ostello carino e accogliente (non a caso il nome era "Ostello Paradiso"), finalmente un posto in cui restare per almeno due notti.



Nelson è il "Sunny spot" della Nuova Zelanda. E' l'unico punto in cui splende il sole per gran parte dell'anno. Ci arrivò per primo il leggendario Ammiraglio Nelson, un paio di centinaia di anni fa. Campagne molto simili all'Europa, terre rigogliose e fertili, temperature ideali, sole splendente, perché non fondarci una città e dargli il proprio nome? Appunto. Ed ha avuto anche buon gusto (come Fred), perché la cittadina, per posizione e struttura, è adorabile.
Il primo giorno l'abbiamo gironzolata fino a stancarci così tanto da meritare a cena la mia ormai celebre carborara.







Il secondo giorno all'alba un battello ci ha condotto in una spiaggia sperduta dell'Abel Tasman National Park. Da lì, ci siamo avventurati lungo un incerto sentiero all'interno della foresta. Cartina alla mano, abbiamo camminato per 5 ore tra boschi che diventavano golfi che diventavano insenature che diventavano promontori che diventavano spiagge che diventavano boschi. Na' passeggiata de salute. E passeggiando passeggiando, tra le chiacchiere, Adam mi ha svelato il vero significato della canzone degli Eagles, Hotel California. L'abbiamo cantata, analizzando le parole, non mi ricordo perché era uscita fuori questa canzone. Non lo sapevo, Hotel California è la metafora della vita di un pazzo all'interno di un manicomio, allegorizzato come Hotel, appunto. Una frase che Adam mi ha spiegato e che mi ha colpito molto, copywritingamente parlando è: "You can check out every time you like, but you can't never leave". Puoi andartene (dall'hotel) quando vuoi, ma non ne uscirai mai. Resterai comunque pazzo mentalmente, anche se ne esci fisicamente. Quindi è come se non lo lasciassi mai. Non mi ero mai soffermato sul valore di questa frase. Vera, cruda, devastante, reale, disperata.
Molte volte le canzoni in inglese scorrono così, passano nelle orecchie come belle note con parole che suonano bene insieme. Edonismo acustico. E invece, ascoltando con più attenzione, rivelano contenuti profondi e toccanti. Bella lezione, di musica, di vita. E bella passeggiata peripatetica. All'environmetally friendly cost di 65 dollari.




Greymouth
Lasciato il sole di Nelson alle spalle, la pioggia ci ha di nuovo accolto a Greymouth. Una cittadina industriale, posta sull'estuario di un fiume. La desolazione. Il niente. Il grigiore supremo. Attraente come la Signorina Silvani, rassicurante come il pronto soccorso del Sant'Eugenio, divertente come la fila sul raccordo, Greymouth è l'ultimo posto dove vorreste mai finire. Dopo Franz Josef, la tappa seguente.




Franz Josef
Quando le cose vanno male, ricordati che possono sempre andare peggio.
La notte stile "shining" nell'ostello di Greymouth era solo il preludio. Il giorno dopo arriviamo a Franz Josef, un villaggio di 4 case, campo base per le scalate sul ghiacciaio di Fox Glacier. Avrei preferito un fortissimo calcio tra le palle.
Qui la pioggia ha raggiunto il suo massimo, al punto da arrestare il prosieguo del pullman. Bloccati per quasi un giorno intero nell'ostello, l'unica nota positiva è stata però grandiosa. Ho visto il terzo e ultimo capitolo del "Signore degli Anelli-Il ritorno del Re" in Dvd. Vedere uno dei miei film favoriti, nel paese dove è stato girato, è stata una conquista. La pioggia non mi ha permesso di scalare il ghiacciaio, ma mi ha regalato un pomeriggio comunque emozionante.
Liberata la strada, siamo ripartiti, nel tardo pomeriggio, verso la meta principale dell'Isola Sud, la cittadina di Queenstown, dove siamo arrivati a tarda notte, dopo 7 estenuanti ore di viaggio.








Queenstown
Queenstown è la perla della Nuova Zelanda. La Madonna di Campiglio incastonata tra le montagne, con in più il lago a completare lo scenario mozzafiato. Un villaggetto tutto negozi di lusso e punti informazioni per le escursioni e le innumerevoli attività. Una piccola Porto Cervo, ma non ostentata né tantomeno spocchiosa. Un posto amorevole e delizioso.



Manco a dirlo, pioveva.
Ma non ha importato stavolta. La bomboniera mi è rimasta impressa, e mi ha lasciato la stessa impressione che mi ha un po' lasciato in generale la Nuova Zelanda.
Viaggiando per questo paese sembra di essere dentro una terra in miniatura. Come in un modellino in scala di una nazione molto più grande. C'è ogni tipo di ambiente, ma è minuto, proporzionato, piccoletto, coordinato, giustapposto. Le montagne appaiono aspre e minacciose, ma non sono più alte di 800 metri. E tutti gli umani sembrano piccoli hobbit a passeggio in questa scatoletta tenerosa.



Dopo due giorni di passeggiate e foto, io mi sono poi separato da Adam e Sandra. Loro avevano molti altri giorni di viaggio da fare e hanno deciso di fermarsi a Queenstown un po' di più. Io ormai avevo già preso il volo di ritorno e così, dal paese delle fate, sono ripartito alla volta di Christchurch, la mia ultima tappa.




Christchurch
Queenstown-Christchurch è stato il viaggio più lungo (9 ore), e farlo da solo in pullman non è stato il massimo.
Christchurch è una città molto interessante e accogliente. Ha all'incirca 150 anni di vita. Anche qui il tipico stile delle case e la presenza di pub ogni 20 metri non nasconde l'origine britannica. Dedita alla cultura universitaria e allo sviluppo delle arti, mi ha letteralmente rapito, accompagnandomi tra i suoi vicoli, laboratori creativi, botteghe artigiane di seta, lana, legno, pittura, ceramica. Se avessi avuto più tempo credo mi sarei lasciato andare ad un corso di "punto-croce".







Due giorni artistico-letterari, entrambi iniziati con la colazione nella locanda dell'università, seduto al tavolo davanti al camino, mentre fuori pioveva, ovviamente.
"Eggs benedict, bacon, formaggio olandese e toast, e un long black, please..."
Che soddisfazione. Che gusto. Il destino ha voluto che proprio in questi ultimi miei giorni, provassi per la prima volta, finalmente, la sensazione che avevo inseguito da anni. Sentirmi uno scrittore in viaggio.
Non lo dimenticherò mai.



A proposito, ho dovuto scrivere su pezzi di carta trovati a caso, perché ad Auckland mi ero perso il mio diario personale (9 mesi d'Australia) all'internet point. Per fortuna, da Christchurch (grazie al cielo questa città vale il suo nome), abbiamo chiamato, lo hanno ritrovato, me lo hanno spedito e tra poco mi arriverà qui a Sydney. Capite bene l'importanza esistenziale che quel diario ha per me.
Tra l'altro, la consapevolezza di trovarmi in un posto davvero speciale, è stata alimentata anche da una targa bronzea che ho letto un mattina in una piazza: Christchurch è stato da sempre ed è ancora oggi il punto di partenza per le missioni e le spedizioni in Antartide. Mi sono sentito (quasi) ai confini del mondo.




Lasciata Christchurch, ho lasciato la Nuova Zelanda. Ho lasciato la pioggia. Ho lasciato due persone che spero di riincontrare un giorno. Ho lasciato stati d'animo altalenanti.
E soprattutto, ho lasciato Frodo a pecorina.
A proposito, tanto per informazione, in Nuova Zelanda ci sono 4.1 milioni di persone. E 39.3 milioni di pecore. Beeeeeeehlla!


Una terra pescata
To whom it may concern, la mitologia maori narra che la Nuova Zelanda sia stata una terra pescata dal mare.
Molti anni dopo la creazione del mondo, nato dall'unione di Ranginui (Padre Cielo) e Papatuanuku (Madre Terra), accadde che Maui (un eroe semidio celebrato nella cultura polinesiana, paragonabile a Prometeo o Sisifo nella mitologia greca) uscì per andare a pesca con i suoi 5 fratelli. Pagaiarono fino a largo, finché Maui lanciò in acqua il suo amo (un osso uncinato) bagnato col sangue delle sue narici. Dopo poco accadde che Maui catturò un pesce immenso e, battendosi e divincolandosi, lo tirò su in superficie.
Il pesce divenne l'Isola del Nord, chiamata dagli antichi Maori "Te Ika a Maui" (Il pesce di Maui). Di qui, i Maori interpretarono tutta la terra di Aotearoa (ribattezzata Nuova Zelanda, ovvero Nuova Olanda, solo dopo l'arrivo europeo) come una grande mappa della leggenda. La baia di Wellington è la bocca del pesce; Taranaki (la costa ovest) e la East Coast sono le pinne; il Lago Taupo al centro è il cuore; la Penisola del Nord è la coda; la Mahia Peninsula nella Hawkes Bay è l'amo che Maui utilizzò. L'Isola Sud, invece, è conosciuta come la canoa (waka è il termine Maori) che Maui usò pe annà a pescà. Mentre Steward Island (l'isoletta più a sud) è l'àncora che trattenne la barca ferma mentre Maui tirava su sto Tonno Riomare.




P.S.
Per notizia, una volta tornato a Sydney, è tornato anche il sole. :)