mercoledì 2 maggio 2007

Manly








Domenica 29/4/2007


Manly, manco a dirlo, è un'altra meravigliosa baia intorno a Sydney.
Domenica era una giornata spettacolare e, con un gruppo di amici italiani (Gianluca, Paolo, Valerio, Luca), siamo andati a passarla al mare di Manly.
Questa spiaggia è famosa per le sue onde da surf. Grandi, parecchio.
Al primo bagno, ne ho subito testata una. Nel senso che ero con la faccia rivolta a riva a fare il cretino con gli altri amici che mi guardavano. A un certo punto, come nei più classici film, cala il silenzio, mano a mano però riempito da un rumore tumultuoso alle mie spalle. Mi giro.
Un 'onda di almeno due metri dietro di me, e si stava già rompendo. Ero praticamente sotto.
"E mo che faccio?". Non potevo girarmi e seguirla, mi avrebbe travolto. Se fossi rimasto fermo, non la stavo qui a raccontare. Allora che ho fatto? La cosa più ovvia, mi sono buttato contro l'onda per evitarla dal basso, in modo che mi passasse sopra. M'ha preso uguale, ma almeno non m'ha travolto.
Ma quanto è bello prenderle bene invece le onde. Le vedi da lontano, te le scegli. Arrivano grandi a gruppi di tre, dopo che ne arrivano nove basse. E' per il moto delle maree, i surfisti le contano e sanno che questi sono i cicli. Ne aspetti nove basse, poi ti arivano i tre tsunami.
Eccola, sempre più vicina. La sapetti, lei ti prende. Tu inizi a nuotare come un pazzo, finché non la senti da sotto che ti spinge, ti sostiene e ti trascina verso la riva per metri e metri. E sono metri che ti fai col sorriso senza che un pensiero ti passi per la testa. Che sensazione, forse la più bella provata da quando sono qui. Ne avrò fatte una trentina di onde così. E' un senso di libertà puro. Chissà come sarà quando lo farò con la tavola.
Non vedo l'ora.
Ah, ora sì, sono le 9:32.

Fish&Chips a Watsons bay






Giovedì 26/4/2007

Watsons bay è una baia che mi è rimasta nel cuore.
Un pomeriggio sono partito da solo con l'intenzione di vederla, perché tutti me ne avevano parlato molto bene. C'è da dire che qui intorno a Sydney è pieno di baie, una più bella dell'altra, e tutte raggiungibili sia col traghetto che col bus.
Allora prendo il traghetto e arrivo a pomeriggio inoltrato. Sole e cielo sereno. Mi faccio un giro, scatto qualche foto, finché non salgo su un promontorio, dove è stata creata una camminata panoramica. A picco sul mare, 100 metri almeno di altezza, mi trovo in cima ad una roccia a guardare l'oceano. Niente altro davanti a me se non una maestosa e imponente distesa d'acqua. Infinita. Guardare l'oceano, fissarlo, lasciarsi cullare e sconvolgere dalla sua imponenza è un'esperienza che mi ha tolto il fiato. Ho pensato ai navigatori, ai pionieri, ai pirati, agli avventurieri, a tutti quelli che per primi misero piede in questa terra. Chissà che sensazioni provarono quando la videro. Chissà se anche loro provarono quest'immenso senso di libertà. Sì è questa l'emozione che più di tutte mi ha trasmesso questo Paese. Libertà. Di muoversi, di pensare, di andare, di tornare, di fermarsi per secoli o di restare per pochi attimi.
Questa è una terra dove gli uomini, benché privi di radici e identità autoctone (a parte gli aborigeni), si sono saputi organizzare, rispettare e apprezzare l'un l'altro, all'insegna dei valori più grandi: il rispetto reciproco e la libertà.
Finite le mie intime riflessioni con gli occhi all'oceano, decido di scendere di nuovo al porto.
Un porticciolo tutto in legno, con qualche banchina, ristorantini che emanano odore di pesce alla brace, barchette attraccate qua e là, altre accostate a riva, sole arancio-violaceo che tramonta, la natura che emerge da ogni angolo, Sydney sullo sfondo. Non ho chiesto niente di più alla mia vita in quel momento, se non un "Fish & Chips". Pur di gustarmi questa prelibatezza, seduto su una panchina, all'ombra di grandi alberi, con i gabbiani a farmi la corte per un po' di pesce, ho perso il traghetto del ritorno. Sono tornato in bus, ci ha messo un'ora. Ma che tramonto.
Certo, questi momenti, e qui in Australia ce ne sono tanti, mi piacerebbe condividerli in due. Ma anche da solo, sono immagini che ti si imprimono dentro e riescono, almeno per un po', a colmare quella metà che ti manca.

Pubblicità












Questa è la campagna di lancio di iinet. La nuova compagnia che fornisce servizi di copertura broadband a Sydney. Nasce come struttura indipendente, veloce, duttile e accessibile. Il posizionamento è in chiaro ironico contrasto con le compagnie telefoniche nazionali, che offrono anche servizi internet. Questa è totalmente dedicata al broadband, un po' come la nostra Fastweb, e prende in giro i pesanti pachidermi che finora hanno governato il mercato.
Si pone come "point break", come punto di rottura a di svolta nel mondo interattivo della città.
E' una campagna che è andata in affissione per tutta la stazione metropolitana di Town Hall, che tra l'altro è a un passo da casa mia. Ogni spazio pubblicitario disponibile è stato coperto da questo lancio. Prima un teaser di una settimana con titoli evocativi e incuriosenti. Poi la valanga per due settimane fino a fine aprile.
In realtà è una campagna semplicissima. Fondo bianco, la faccia di uno degli impiegati della compagnia, e un lungo boycopy al posto del titolo classico.
Ma andatevelo a leggere il "body-titolo". Un esempio di copywriting, a mio parere.
Un testo lungo che interessa dalla prima all'ultima parola, che ti riesce a fermare per farsi leggere proprio mentre scappi di corsa lungo i corridoi della metro. Concetti che giocano sull'arrivo di una nuova compagnia e sul lettore dell'annuncio che se non si sbriga a finire di leggere perderà davvero la metropolitana. Interattività insomma, in una campagna di lancio esemplare. Per testi, semplicità, forza espressiva, novità nello scegliere copy lunghi proprio in un posto dove servirebbero due parole immediate. Ma il copy lungo, quando ti attira proprio con le prime due parole, ti ferma a farsi leggere.
Io mi sono fermato. E infatti ho perso il treno. ;-)))

Royal National Park













Domenica 22/04/2007

Zaino in spalla, macchina scarcagnata come veicolo, due domeniche fa siamo andati a vedere il Royal National Park. Un immenso parco nazionale, il più vecchio del mondo dopo Yellowstone.
Eravamo:
Io.
Isabella, una stagista planner italiana di Y&R Sydney.
Lihan, un surf-fancazzista olandese, simpatico, inciuciato con Isabella.
Tatiana, una ragazza australo-russa, hostess di eventi. Ma pure di etrenta, equaranta...

Il Parco è stato meraviglioso. Peccato che l'abbiamo visto completamente zuppi.
E' piovuto dall'inizio alla fine della giornata, ma ne è valsa la pena per le foto quando ha rischiarato.
E' stato un po' un giorno alla "Goonies", per via soprattutto di un posto.
Finita la visita, siamo arrivati in una cittadina all'interno del Parco. Bundeena, il nome.
Mi hanno accompagnato perché da qui ho preso il traghetto per tornare a Sydney.
Loro invece si sono fermati in tenda per stare un altro giorno nel parco.
Ma questa cittadina era veramente un film anni ottanta. Il solo, unico, vero, inimitabile film anni ottanta.
Cielo plumbeo, pioveva, la macchina parcheggiata davanti al piccolo molo di legno.
Poche case, dritte in file, lungo la strada principale. Pali della luce consumati e fili a vista.
Noi dentro una paninoteca da viaggio con suppelletili di squalo e tavole da surf come arredamento. Musica eighties gracchiante alla radio all'interno. Hamburger e patatine. Due ragazzini in bicicletta sotto la pioggia. Tettoie gocciolanti.
In una sola parola, Astoria. Ho mandato subito un messaggio al Manzu.
Eravamo praticamente dentro i "Goonies". E allora lì giù con Cindy Lauper, con "Super Schloooooot, Chocolatttaaaaaa...Babyyyyyyyy...Ruth!", con Chunk che implora la Banda Fratelli, con Willy l'Orbo. E soprattutto con....Chester Copperpot! Chi si ricorda chi era? Che ruolo aveva nel film? Una cacatua in regalo a chi indovina.
Che film ragazzi, l'avremo visto tutti un centinaio di volte. Un must.
Finito il film, fatta qualche foto al posto incantevole, ho preso il ferry per un pelo.
Ero ai ferry corti, ma ce l'ho fatta.

Un altro giorno, Mark Knopfler.




Spesso, quando non ho niente da fare nel tardo pomeriggio, ma prima delle 6, perché alle sei qui è tutto chiuso, vado da "Allan's Music", un negozio di strumenti musicali.
Ce n'è per tutti i gusti. Chitarre acustiche, elettriche, classiche, dobro, pianoforti, clavicembali, batterie, pifferi, clarinetti. Manca solo la gigantografia di Renzo Arbore.
Un bel giorno, mi sono recato, come abitudine, in questo piccolo tempietto tutto sound.
Incuriosito da una chitarra molto familiare, una Fender Stratocaster, la tiro giù e mi metto su uno sgabello in un angolino a intonare "Romeo and Juliet" e poi "Sultans of Swing". Sulle note di quest'ultima, mi si fa innanzi un uomo di colore, vestito di nero. "Un promoter della Lindt?", mi chiedo.
No, non era un promoter della Lindt, era Rion. Un commesso del negozio.
Riconosciuta la melodia, mi guarda sorridente e, rivolgendomi la parola, mi dice "aspetta, vado a prendere una cosa".
Torna con un'altra chitarra e mi invita a ricominciare l'accompagnamento di Sultans of Swing. Io inizio, e accompagno alla meno peggio. E inizia pure lui.
Avevo i brividi. Mi ha cominciato a fare tutto il pezzo solista della canzone. Non ha mancato una nota. Io che accompagnavo e lui che solisteggiava. Dire che fosse tale e quale al tocco di Mark Knopfler sarebbe blasfemia, ma ci è andato parecchio vicino.
E alla fine, cosa che non credevo avesse potuto fare, ha chiuso con quell'assolo unico nella storia della musica. Quell'assolo che ogni volta che lo senti, c'hai il brulichìo sotto la pelle e senti che le corde che c'hai dentro vibrano pure quelle.
Un mostro. Un maestro.
L'abbiamo fatta tutta, suonavo col sorriso da ebete. Ma ho imparato.
Poi vabè, ha preso la mia Fender e si è messo a fare tutti pezzi ora di BB King, ora di Steve Ray Vaughan. Chevvelodicaffà. Ogni toccata era una lezione.
E così da quel giorno, quando torno da Allan's, cerco sempre Rion.
Ogni tanto lo becco. Il tempo di farmi insegnare qualche assolo, provare a ripeterlo, incazzarmi sistematicamente perché c'ho le dita che sono delle salsicce lente, e andare al piano di sopra a dare du' botte alle batterie per sfogarmi dall'incazzatura.
Poi riscendo, saluto Rion, e me ne vado al negozio della Lindt.
Mi sono promesso che, al primo vero stipendio, inizierò a mettere da parte per comprarmi una chitarra. Ma intanto, quando mi va, mi butto un'oretta a suonare a uffo da Allan's.
Ora però vado a cena. Menù della serata? Che domande, spaghetti alla chitarra. ;-)