venerdì 27 luglio 2007

Francesco Solfrini, detto 'Solfrins'.



E' giunta l'ora che presenti un altro grande compagno di questo mio viaggio. Un ragazzo che ho conosciuto tramite Isabella, gioiosa, biondosa e solarosa giovine fiorentina che ha avuto una bella esperienza come planner qui in GPY&R e che a mio avviso ha una grande carriera davanti (ma pure de dietro non sta messa male, anzi). Questo ragazzo e' Francesco, il 'Solfrins' delle Dumpling Nights. Ex account di McCann Erickson Roma, ha sbroccato ed e' venuto in Australia. E' incredibile quanto sia davvero piccolo il mondo. A Roma lui abita a Giuliano Dalmata, un quartiere a due passi dalla mia Spinacity. Ha fatto il liceo all'Aristotele. Conosce Andrea Giardini (ma Andrea se chiedo ad uno qualunque qui a Sydney, lo conosce pure lui), Andrea Di Tullio (ma che fine hai fatto?), Giuliano Liberati (te sei laureato Giulia'?). Miei compagni delle Medie. Eppure ci siamo incontrati qui. E mi stupiscono, mi meravigliano e mi confortano anche, le affinita' che trovo con la sua persona. In questo momento siamo due specchi. Entrambi nelle stesse identiche situazioni, stati d'animo, sogni, paure, scelte, consapevolezze, quel che ne rimane degli amori, movimenti interiori. E' sorprendente. Stiamo affrontando questa fase del nostro indipendente viaggio, in due, parallelamente. Pronti sul trampolino di lancio, professionale ed emotivo, li' carichi, aperti, col motore acceso, con la fiamma che arde, ma con qualche sacchetto di zavorra che ancora ci tiene giu'. E da questo nasce un confronto e uno scambio costanti. Come due alpinisti sull'Everest dell'io che si danno corda e si aiutano ad ogni picco, roccia dopo roccia, per proseguire la scalata.

E' un ragazzo che merita. Sano, coraggioso, solare, spontaneo, determinato, sensibile, portatore sano di valori e ideali. E poi sa anche essere uno di quei cazzari infiniti che fanno girare il mondo. A volte raggiunge quasi i miei livelli. Mito!

La sua frase, finora, piu' bella e' stata: "A Siso, quando torneremo a casa c'avremo le palle talmente grosse che non so se ce le faranno passare come bagaglio a mano".

Io aggiungo, ora: "Soprattutto se continuamo a anna' in bianco cosi".

Cmq, per presentarlo nel modo migliore stavolta scelgo non le mie, ma le sue parole.

Dalla seconda lettera di Francesco a Patrizia Boglione (capoccia di McCann Roma):

'Coraggio'.
E' più che altro un incitamento. L'incitamento che ho fatto a me stesso per 5 mesi. 5 mesi ininterrotti di ricerca di un lavoro in Australia. 5 mesi che mi hanno visto inviare 284 curricula, fare 22 colloqui, lavorare 2 giorni come lavapiatti ed 1 mese e mezzo come sales representative e poi essere finalmente assunto come Account in una agenzia pubblicitaria di Sydney.

Ma guardando indietro, forse più che in questi 5 mesi ho dovuto ripetere più volte a me stesso Coraggio prima di partire. Quando la decisione era da prendere. Quando si trattava di licenziarsi e di mettere in pratica quello che per tanti anni ho inseguito solo a parole. Il desiderio di lavorare all'estero, di vedere se è vero che dall'altra parte è davvero meglio come "tutti" dicono. La voglia di capire come mai i francesi, gli inglesi e tanti altri mollano tutto e vanno a vivere per qualche anno in un altro paese. Sicuramente è un discorso di mentalità, ma credo - e dico credo, non ne sono ancora sicuro - che insito in questo vago concetto di mentalità ci sia una buona dose di coraggio.

E quindi con la convinzione che ci volesse un pò di esperienza alle spalle e una buona conoscenza dell'inglese - che fortunatamente possedevo - e con la speranza che una buona dose di coraggio mi aiutasse, mi sono licenziato da McCann Erickson. Secondo un perfetto clichè da b-movie ho comprato un biglietto di sola andata ed il 12 dicembre mi sono imbarcato per Sydney.

Dopo un primo mese di ambientamento e di vacanza comincia il conto alla rovescia. Il mio visto dura 12 mesi ed il mio obiettivo è quello di trovare un lavoro che mi consenta di avere la sponsorship, il visto che permette di lavorare in Australia fino a 4 anni. Un mese è già passato, quindi il conto alla rovescia parte da -11.

-11. Gennaio.

Revisione del curriculum secondo il modello australiano, invio delle prime candidature via e-mail, telefonate a raffica - in Australia devi essere insistente per dimostrarti motivato - e primi colloqui, anche grazie all'arrivo del "kit del piccolo candidato" (la valigia con gli abiti per i colloqui era stata infatti bloccata a Fiumicino perchè il mio bagaglio eccedeva i limiti di peso). Quindi armato di giacca, cravatta ed indefessa motivazione mi sono buttato in questa impresa mettendo a segno una serie di inevitabili figuracce...

-10. Febbraio.

Arrivano i primi riscontri, o meglio le prime batoste! Dopo diverse telefonate e colloqui sono cominciate ad arrivare risposte quali: "non hai esperienza sul mercato del lavoro australiano", "non hai un visto permanente", "cerchiamo qualcuno con più esperienza". Ed anche se non mi è stato mai detto apertamente, il mio inglese non madrelingua è stato un ulteriore limite. Probabilmente il maggiore visto che si trattava di lavorare in comunicazione, per giunta come account, un ruolo abbastanza delicato vista la responsabilità del contatto quotidiano con il cliente. Tant'è che infatti è stato scoraggiante scoprire che due ragazzi italiani (con un inglese al mio livello) hanno trovato lavoro in due agenzie pubblicitarie in poco più di due mesi. Ci ho infatti messo un po' a capire una cosa che in realtà è ovvia. Loro due sono stati assunti come strategic planner e copywriter ed anche se a loro è richiesto un buon inglese, il loro contributo maggiore è in termini di idee. Diversamente il mio inglese deve essere di un livello superiore, perchè il dialogo con il cliente deve essere assolutamente fluido. Devo capire istantaneamente le sue richieste ed avere una piena comprensione di tutte le sfumature linguistiche per poter presentare il lavoro dell'agenzia in modo convincente. Sì insomma quello che in italiano è già abbastanza complesso, figuriamoci in inglese...

E qui è necessario un altro piccolo inciso perchè, come già detto, nessuno ha mai fatto luce sulle "aree di miglioramento delle mie competenze linguistiche". Questo perchè gli australiani sono troppo positivi. So che sembra assurdo dire troppo positivi, ma è proprio così. Gli australiani sono capaci di raccontarti che hanno avuto un incidente d'auto, sono finiti in un fosso, la macchina è rotolata per 11 volte, non hanno perso coscienza e si sono goduti tutto il trauma in diretta, hanno avuto una gamba ed entrambe le braccia rotte...e dopo tutto ciò sono capaci di concludere dicendo: "But I am alright..." Come??? Sei vivo solo per miracolo e riesci a dire But I am alright!?! Ed il dolore, le urla, i fastidi, i mesi passati in ospedale e tutto il resto? No, qui non ci si lamenta, qui si va avanti senza piangersi troppo addosso. Ed anche questo per me è coraggio. E credeteci o no, questa è la storia che ho sentito veramente da un australiano.

-9. Marzo.

Quindi, in perfetto stile "aussie", alla fine di tutti i colloqui o nelle telefonate successive, i riscontri erano quasi sempre positivi. Per l'appunto gli australiani mantengono un atteggiamento positivo anche di fronte ad evidenze catastrofiche. A questo aggiungi il fatto che non vogliono mai scoraggiarti ed il risultato è che spesso uscivo dai colloqui carico di bei complimenti e speranze che puntualmente si frantumavano ad una settimana dall'incontro. Basta pensare che una volta alla fine del colloquio mi è stata mostrata l'agenzia, come a dire "questa è la tua nuova casa...!", mentre in altri colloqui mi hanno parlato come se già fossi parte del gruppo...
Insomma, marzo è stato dedicato a capire come mai a questi bei complimenti non seguiva mai un'offerta di lavoro.

-8. Aprile.

In aprile al martellante "coraggio" si è affiancato un altrettanto insistente: "Corriamo ai ripari!" Eh sì, perchè la situazione si era fatta critica sotto diversi punti di vista:
Morale? Praticamente montagne russe di emozioni. Passavo dall'entusiasmo di un colloquio ottenuto o appena fatto alla depressione di vedere che le offerte di lavoro non arrivavano mai.
Finanze? Caduta libera. I risparmi con cui ero partito cominciavano a scarseggiare dopo mesi di "full-time job hunting" che in termini di impegno era come un lavoro vero, ma che di fatto non rimpinguava di molto il mio conto!

Quindi il nuovo piano di attacco prevedeva:

1. Cercare un così detto casual job tanto per mantenermi e
2. nel frattempo continuare a cercare il lavoro serio.
3. Fare un corso in strategic planning per arricchire il c.v. e dare alle agenzie/aziende la garanzia che il mio inglese fosse pronto per il confronto professionale.

Quindi in attesa dell'inizio del corso ho cominciato a lavorare come Sales Representative per American Express...eh, sì sono stato uno di quei rompiscatole che sta all'aeroporto e molesta chiunque proponendo carte di credito! Li ho sempre detestati e mai mi sarei immaginato di fare questo lavoro, ma sicuramente era più coerente con il mio cv di quanto non lo fosse lavorare come cameriere...

-7. Maggio.

Ovvero la luce dopo il tunnel. Continua il lavoro all'aeroporto ed il contatto con i clienti mi permette di migliorare il mio inglese parlato. Le agenzie di recruitment, che qui sono moltissime e lavorano per lo più sul mercato del lavoro qualificato, mi hanno scarsamente preso in considerazione finora. Per loro è molto più facile proporre un australiano: nessun problema di visto e di esperienza locale, nessun dubbio sulla lingua. Ma finalmente un'agenzia di recruitment specializzata in advertising crede in me e mi propone per un colloquio con una piccola agenzia pubblicitaria che lavora sul conto Toyota (che in Australia rappresenta il primo marchio automobilistico). Il primo va bene (e stavolta non è solo un'impressione!) e così anche il secondo, con cui vengo assunto.

Risultato: contratto di 3 mesi di mesi di prova con la promessa di assunzione a tempo indeterminato e quindi sponsorship alla fine dei 3 mesi!

-6. Giugno.

Il managing director subito dopo la firma del contratto mi fa un bel discorsetto che su per giù suona così: "noi lavoriamo molto, ma siamo ben coscienti che non siamo qui per trovare una cura per il cancro. Non salviamo vite umane e questo ci consente di goderci il nostro lavoro e soprattutto non prenderci troppo sul serio..." Più che una frecciatina era un'arpionata ai tanti pubblicitari che si credono chissà quali guru...

Beh, lieto fine sembrerebbe. Sicuramente le cose ora vanno bene, mi sono stabilizzato nell'agenzia ed ho cominciato il corso in strategic planning. Ma la cosa più importante è che ringrazio me stesso per aver avuto il coraggio.

Lo stesso coraggio che trovo in questa terra. Una terra dura, difficile (in gran parte desertica, con problemi di grave siccità e distante da tutto). Una terra in cui la gente si rimbocca le maniche e senza lasciarsi intimorire da pressioni sociali o autocensure agisce con coraggio.

Lo stesso coraggio che trovi anche nella pubblicità di queste parti. Un esempio? Beh ovviamente per poter giudicare appieno se di coraggio si tratta ho scelto un caso vicino al settore che conosco meglio.

Guradate questo spot (firmato JWT) del Territory Turbo, un mid SUV di casa Ford:


Beh chiaro, no? Ci troviamo di fronte ad un SUV che ha un motore più potente dei competitor. Beh il vantaggio competitivo è rilevante e dovevano comunicarlo in modo diretto e forte. Per questo non si sono fermati al confronto con gli altri SUV, ma con una banalissima iperbole hanno affermato che il "Territory mangia auto sportive per colazione". E non stiamo parlando di macchine travestite da auto sportive, ma di icone sacre quali Ferrari, Maserati, Lamborghini e compagnia bella.

Esagerati? Sicuramente, era quello che volevano perchè il messaggio passasse.

Non fedeli alla realtà? Altrettanto sicuro. Ma sapevano che potevano contare sul buon senso del pubblico, capace di andare alla radice del messaggio. In australia il coltellino multiuso da usare in qualsiasi situazione di stallo è quello che loro chiamano "common sense".

Coraggiosi? Assolutamente coraggiosi. Perchè non si sono autocensurati, pur sapendo che tecnicamente stavano "mentendo". E soprattutto sapendo che sarebbero andati in corso a critiche, come quella apparsa su AdNews, il principale giornale di settore Australiano.

So che molti non saranno d'accordo. Ma non importa che la campagna sia stata smontata pezzo per pezzo. Ciò che per me è importante è vedere che in un mercato statico e "politico" come il mercato automotive, qualcuno sia ancora capace di sfidare i tecnicismi per far arrivare un messaggio forte e chiaro.

Con grande coraggio.

Un saluto

Francesco Solfrini

1 commento:

Sylvie Malaussène ha detto...

Siso, di' al tuo amico Solfrins che se gli va male nel campo pubblicitario può seriamente pensare ad una carriera come scrittore!!!
Grande narratore!!!